E noi? Quasi
sicuramente oggi non mangeremo tacchino ripieno, e poi probabilmente saremo riuniti tutti intorno al tavolo solo
stasera, o forse nemmeno. Forse dobbiamo aspettare il week-end.
Ma a parte questo, con la scusa del ringraziamento americano, questa potrebbe essere l’occasione per rinnovare ai nostri bambini l’idea del grazie. Della buona educazione.
Parole belle
come grazie, prego, scusa, loro le sanno, eccome. Magari le usano random, come
quando confondono “grazie”, “prego” e “per favore”, ma, almeno per il momento,
è la buona intenzione che conta, no?
Come se
fosse una favola, possiamo raccontare loro la storia dei Pellegrini, di quando,
approdati sulle coste americane tanti tanti anni fa, dopo un lunghissimo
viaggio per mare, hanno ricevuto dagli indigeni gli insegnamenti per coltivare
la terra di quei luoghi: hanno ricevuto delle possibilità. E loro lo hanno
fatto, si sono dati da fare e condividendo con nativi americani i primi raccolti hanno potuto mostrare loro la
loro gratitudine.
Per i
bambini questa può essere un’occasione per spiegare una parola – GRAZIE – che
loro ormai, bimbi gentili e ben educati, dicono in automatico: ai bambini
insegniamo a dire grazie, e pretendiamo che lo facciano. Ma loro hanno capito
il senso di questo grazie?
Tu fai una cosa bella per me e io ti dico grazie, e non (non solo) perché TU sei stato gentile, ma perché IO ti sono grato.
Grato di
avermi aiutato a riordinare i giocattoli, grato di avermi regalato la figurina
che serviva per completare la mia raccolta, grato di aver giocato con me quando
ero triste, ad esempio.Tu fai una cosa bella per me e io ti dico grazie, e non (non solo) perché TU sei stato gentile, ma perché IO ti sono grato.
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