I bambini sono al centro dell’inquadratura.
È il momento giusto per lo scatto e…niente.
Il momento è passato e io ho perso l’attimo.
Mi sono distratto quando loro sono entrati, stanno marciando
in cerchio sulle note della
canzone dei remigini, hanno riempito il salone, si
dispongono in file uguali, tigrotti, orsetti, tartarughe e delfini.
Fa un po’ strano vederli lì, dritti, in file regolari, seri
e composti davanti ai genitori, quando pochi istanti prima non riuscivi ad immaginarteli se non in
cortile, chiassosi e lanciati in corse sfrenate.
Qualche risatina qua e là, qualche mamma si abbandona già
alle lacrime, la cerimonia è
iniziata ma la mente vola lontano, si accavallano i ricordi
e ognuno di essi si trascina dietro un’emozione indelebile.
Una voce sta leggendo qualcosa al microfono ma è distante,
io ho davanti le stanze della
sezione primavera all’inizio di questo viaggio, mi si
stringe lo stomaco a lasciare quella
manina così piccola, mille dubbi mi attanagliano: avrò
scelto bene? È il posto giusto?
Starà male senza di me?
E poi la corsa per dare un’occhiata furtiva al diario delle
apine: cosa avrà fatto oggi il mio
bimbo?
E la pioggia di domande alla maestra: ha mangiato? Ha fatto
il bravo? Ha giocato con
qualcuno?
Poi l’inserimento, calarsi pian piano in un ambiente
sconosciuto, le prime amicizie, dirette e genuine come solo a questa età possono avvenire, i primi
lavoretti e i primi pasticci, le prime marachelle, le prime simpatie e antipatie, i primi
litigi.
Vengo riportato in salone da un nuovo canto dei
bambini.
Dopo le parole di Mons. Luigi Panighetti e la preghiera
insieme ecco il momento più
importante della cerimonia: la consegna dei diplomini.
Quando vengono chiamati per
nome i bambini si presentano a ritirare il loro diploma e il
loro cappello e tutti hanno
stampato sul volto un sorriso fiero e orgoglioso.
Per un attimo penso che non sia giusto! Crescere non va
bene, penso che il cambiamento
non porti nulla di buono e formulo un desiderio: che il mio
bambino e la mia bambina
restino per sempre così, come congelati in un tempo fatto di
giochi, colori, sapori,
filastrocche e sguardi sinceri.
L’attimo seguente mi rendo conto di quanto egoista sia stato
il mio desiderio e un po’ me
ne vergogno: la vita è vera solo se si compie un cammino.
Con la fine della consegna cala anche un po’ la tensione,
tutti si riversano fuori nel sole del cortile, adesso il pomeriggio è un po’ meno cerimonia e un
po’ più festa.
Le maestre insieme recitano una poesia bellissima che riesce
a commuovermi, parla di
una valigia e di tutto quello che dovrebbe contenere per il
futuro dei nostri piccoli:
coraggio, fantasia, lealtà, tenerezza, rispetto, sincerità.
Rispunta in me la metafora del viaggio e ancora una punta di
malinconia che però subito
viene sommersa dall’onda scomposta dei bimbi che corrono a
rintracciare l’impronta della
propria manina sulla parete dei ricordi.
È il momento giusto.
Il dito è pronto, in tensione sul pulsante, loro sono in
primo piano, perfettamente a fuoco.
È il momento giusto, ma decido di lasciar perdere.
Spengo la macchina fotografica, qualcun altro penserà a
scattare.
Questa volta niente distrazioni: mi guardo intorno attento,
li voglio conservare per sempre così nei miei ricordi, capelli sudati, magliette sporche di
terra, contesi tra lo scivolo e l’altalena, le urla di gioia che riempiono l’aria e colmano
i cuori.
Si ringrazia per questo post: Daniele, papà di Giorgio, delfino diplomato 😊
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